venerdì 29 giugno 2012

Invito alla lettura/1

I sindacati sono una palla al piede dell'economia; l'Italia affonda per colpa dei pensionati rapaci e dei pubblici dipendenti sfaccendati; i diritti del lavoro sono un fastidioso avanzo del secolo breve: ecco un piccolo saggio delle menzogne quotidiane che, ripetute e strombazzate, rischiano di diventare delle verità. 
Tra i luoghi comuni propagandati in maniera scomposta dai giornali di tutto lo schieramento politico, fa eccezione soltanto il manifesto, uno occupa un posto particolare: l'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori è uno dei corresponsabili del disastro occupazionale in cui versa l'Italia.
Ho letto con particolare piacere il libro di Luigi Cavallaro, A cosa serve l'articolo 18(manifestolibri, 2012), che smonta in maniera sistematica, dati alla mano, gli equivoci che si sono accumulati su questa norma. In primo luogo la norma si applica soltanto alle aziende con più di quindici dipendenti, una parte esigua del panorama produttivo. Si dice, di conseguenza, che le aziende non assumono perché, in assenza di flessibilità, gli imprenditori si troverebbero le mani legate. In poche parole, non assumono perché non possono licenziare. Eppure i dati dimostrano che la strozzatura  si attesta poco prima dei venti dipendenti, oltre quindi la soglia prevista dalla legge per poter procedere al reintegro in caso di licenziamento discriminatorio. Solo una parte esigua delle controversie di lavoro riguarda l'articolo 18, e circa il 60% di queste si conclude con esito favorevole al lavoratore.
Per quanto il libro sia stato dato alle stampe prima che la riforma Fornero desse il colpo di grazia ai diritti del lavoro, vale la pena leggerlo con attenzione, poiché gli argomenti prodotti dall'autore mantengono tutta la loro validità. Cavallaro, vale la pena ricordarlo, è un magistrato, quindi conosce la materia da tecnico.
Le riforme che hanno interessato il diritto del lavoro a partire dalla metà degli anni '60, questa la tesi di fondo, sono state nient'altro che il tentativo di adeguare il tessuto normativo al dettato costituzionale. In questa prospettiva la legge 300 del 1970 rappresenta senza dubbio un punto di arrivo, la proclamazione del lavoro come diritto sociale di cittadinanza.






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