lunedì 7 maggio 2012

Appunti sparsi contro la meritocrazia

Con il termine meritocrazia si intende un sistema di governo e organizzazione delle relazioni umane in cui le cariche pubbliche, gli onori e i riconoscimenti siano attribuiti esclusivamente sulla base dei meriti individuali. La meritocrazia quindi è, letteralmente, il potere dei meritevoli. Nessuno su questa formulazione ha niente da obiettare. L'ho tratta da Wikipedia e ne ho avuto conferma dai dizionari più autorevoli. Ogni persona di buon senso la condivide ed è anche pronta ad aggiungere che è giusto che le cose stiano così, anche perché affermare il contrario potrebbe suonare come un'implicita autoessagnazione alla categoria degli immeritevoli.
La definizione, apparentemente così lineare, tratteggiata sopra, lascia scoperte tuttavia alcune questioni fondamentali, che costituiscono l'essenza stessa del problema: quali sono i criteri che devono essere utilizzati per individuare i meritevoli e chi sono i soggetti abilitati ad effettuare la valutazione.  Questo secondo punto risulta particolarmente problematico, perché ci dobbiamo domandare quali debbano essere le procedure in base alle i controllori assumono il loro ufficio. In questo modo si da avvio ad una regressio ad infinitum in cui non si riesce ad individuare a chi, in ultima istanza, spetti la nomina dei controllori.
Il problema, nel suo complesso, ha una primaria importanza perché riguarda(anche)l'organizzazione dei poteri pubblici e una questione vitale nell'organizzazione dei rapporti umani: come debbano essere distribuite le ricchezze e a chi spetti prendere decisioni che si ripercuotono sulla sfera giuridica ed esistenziale altrui.
Si è soliti ritenere che i sistemi capitalistici, o quelli in cui il mercato è preponderante, premino il merito, con un vantaggio complessivo maggiore e minore equità nella distribuzione dei benefici; i sistemi socialisti, ove rimasti, e quelli di tradizione socialdemocratica, invece, accordano la preferenza al polo opposto, l'eguaglianza. Andando per slogan: "a ciascuno secondo i propri meriti" contro "da ciascuno secondo i mezzi a ciascuno secondo i propri bisogni".
In un contesto produttivo è relativamente semplice individuare i più bravi: più col proprio lavoro si contribuisce ad incrementare gli utili aziendali e più si salgono i fretta i gradini della gerarchia aziendale. Tuttavia, quando non si richiedono competenze specifiche sarà piuttosto difficile emergere. Gli operai che lavorano alla catena di montaggio sono tutti, più o meno, egualmente competenti. A fare la differenza sarà, piuttosto, la capacità di sopportare la fatica fisica. La stessa cosa si può dire per la gran parte delle mansioni operative, in cui spesso è richiesta un'attenzione particolare ma non delle doti specifiche, né manuali né intellettuali.
Pensiamo a cosa può implicare l'applicazione di un criterio rigidamente meritocratico nella progressione di carriera dei magistrati, o dei professori universitari nelle discipline umanistiche, dove è più difficile, rispetto all'ambito tecnico scientifico, valutare le competenze del singolo docente.
Eppure la meritocrazia è diventata una parola magica (assieme a mercato, flessibilità, competitività), da ripetere come una litania in ogni circostanza. E così sentiamo che si devono introdurre elementi di meritocrazia anche nel pubblico, che non dovrebbero esserci scatti automatici di carriera, che i più bravi debbono essere premiati, che i fannulloni devono essere allontanati senza troppo riguardo e via blaterando.
Negli anni scorsi ho spesso sostenuto dei colloqui di lavoro. Le formule di rito che usava l'addetto alle risorse umane erano: "Noi vorremmo farti crescere professionalmente"... "noi vogliamo darti una possibilità". Una volta mi chiesero: "Ma tu pensi di essere portato per il lavoro fisso oppure pensi di meritare qualcosa di più?" Stiamo parlando di quasi vent'anni fa, prima che merito diventasse una parola alla quale rendere universale ossequio. 
Se il criterio meritocratico può funzionare, e non è detto che funzioni sempre, ai livelli alti delle gerarchie aziendali, a quelli più bassi, invece, specie se combinato con competitività, mercato, produttività, si risolve in un passe partout attivabile per estorcere al lavoratore prestazioni supplementari ancorate non al tempo lavorato ma ai risultati ottenuti in termini di profitto.



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