Non esiste un'etica sociale, non esistono problemi sociali in etica: tutta l'etica è sociale. È sulla creazione collettiva dell'uomo come intimità irriducibile nei confronti del collettivo e inseparabile da esso che indaga la riflessione etica. Non esiste, infatti, una ragionevole possibilità che l'etica rimanga neutrale davanti alla politica, a meno che non sia trasformata nel più sterile esercizio accademico oppure in stomachevole vaghezza clericale. Del resto, non è neppure esatto affermare che l'etica "sfoci" nella politica o che possa considerarsi prolungata da questa, come nella riflessione aristotelica: parte di qualcosa di anteriore al gioco politico, la supera accompagnandola e va al di là, verso il non compiuto, facendo rotta verso l'instancabile promessa. Il riconoscimento nell'altro che l'etica pretende è una sfida più sottile ed energica in confronto al fondamentale riconoscimento dell'altro che la violenza politica istituisce. Contrariamente agli hegeliani e ai positivisti, è necessario sostenere che la maturità nell'etica non si compie nella legislazione positiva dell'ordine politico gerarchico, reso burocratico e diviso in classi dallo sfruttamento economico; al contrario, l'etica continua a sovvertire con il suo ideale i violenti statuti della necessità storica e a lottare politicamente contro la politica. Il paradossale proponimento di portare l'etica come obiettivo della politica è il senso più nobile della rivoluzione; o, se si preferisce una minore crudeltà, è il compimento della democrazia.
domenica 20 gennaio 2013
Etica e politica nelle pagine di un grande filosofo
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