Quando sono in crisi vocazionale, accade fisiologicamente spesso nel mio mestiere, vado a rileggere il Discorso in difesa della scuola pubblica, tenuto da Piero Calamandrei nel febbraio 1950, in occasione del III Congresso dell'Associazione a difesa della scuola nazionale:
Cari colleghi,
Noi siamo
qui insegnanti
di tutti gli ordini di scuole, dalle elementari alle università
[...]. Siamo qui riuniti
in questo convegno che si intitola alla Difesa della scuola. Perché difendiamo
la scuola? Forse la scuola è in pericolo? Qual è la scuola
che noi difendiamo? Qual è il
pericolo che incombe sulla scuola che noi difendiamo? Può venire
subito in mente che noi siamo
riuniti per difendere la scuola laica. Ed è anche un po' vero ed è
stato detto stamane. Ma non è tutto qui, c'è qualche cosa di più alto.
Questa nostra riunione non si deve immiserire in una polemica fra clericali ed
anticlericali. Senza dire, poi, che si difende quello che abbiamo. Ora, siete
proprio sicuri che in Italia noi abbiamo la scuola
laica? Che si possa difendere la scuola laica come se ci fosse, dopo l'art. 7?
Ma lasciamo fare, andiamo oltre. Difendiamo la scuola democratica: la scuola che
corrisponde a quella Costituzione democratica che ci siamo
voluti dare; la scuola che è in funzione di questa Costituzione, che può
essere strumento, perché questa Costituzione scritta sui fogli diventi realtà
[...].
La scuola, come la vedo io, è un organo "costituzionale". Ha la sua
posizione, la sua importanza al centro di quel complesso di organi che formano
la Costituzione. Come voi sapete (tutti voi avrete letto la nostra
Costituzione), nella seconda parte della Costituzione, quella che si intitola
"l'ordinamento dello Stato", sono descritti quegli organi attraverso i quali si
esprime la volontà del popolo. Quegli organi attraverso i quali la politica si
trasforma in diritto, le vitali e sane lotte della politica si trasformano in
leggi. Ora, quando vi viene in mente di domandarvi quali sono gli organi
costituzionali, a tutti voi verrà naturale la risposta: sono le Camere, la
Camera dei deputati, il Senato, il presidente della Repubblica, la Magistratura:
ma non vi verrà in mente di considerare fra questi organi anche la scuola, la
quale invece è un organo vitale della democrazia come noi la
concepiamo. Se si dovesse fare un paragone tra l'organismo costituzionale e
l'organismo umano, si dovrebbe dire che la scuola corrisponde a quegli organi
che nell'organismo umano hanno la funzione di creare il sangue [...].
La scuola, organo centrale della democrazia, perché serve a risolvere
quello che secondo noi è il problema centrale della
democrazia: la formazione della classe dirigente. La formazione della classe
dirigente, non solo nel senso di classe politica, di quella classe cioè che
siede in Parlamento e discute e parla (e magari urla) che è al vertice degli
organi più propriamente politici, ma anche classe dirigente nel senso culturale
e tecnico: coloro che sono a capo delle officine e delle aziende, che insegnano,
che scrivono, artisti, professionisti, poeti. Questo è il problema della
democrazia, la creazione di questa classe, la quale non deve essere una casta
ereditaria, chiusa, una oligarchia, una chiesa, un clero, un ordine. No. Nel
nostro pensiero di democrazia, la classe dirigente deve essere aperta e sempre
rinnovata dall'afflusso verso l'alto degli elementi migliori di tutte le classi,
di tutte le categorie. Ogni classe, ogni categoria deve avere la possibilità di
liberare verso l'alto i suoi elementi migliori, perché ciascuno di essi possa
temporaneamente, transitoriamente, per quel breve istante di vita che la sorte
concede a ciascuno di noi, contribuire a portare il
suo lavoro, le sue migliori qualità personali al progresso della società
[...].
A questo deve servire la democrazia, permettere ad ogni uomo degno di avere
la sua parte di sole e di dignità (applausi). Ma questo può farlo soltanto la
scuola, la quale è il complemento necessario del suffragio universale. La
scuola, che ha proprio questo carattere in alto senso politico, perché solo essa
può aiutare a scegliere, essa sola può aiutare a creare le persone degne di
essere scelte, che affiorino da tutti i ceti sociali.
Vedete, questa immagine è consacrata in un articolo della Costituzione,
sia pure con una formula meno immaginosa. È l'art. 34, in cui è detto: "La
scuola è aperta a tutti. I capaci ed i meritevoli, anche se privi di mezzi,
hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi". Questo è l'articolo
più importante della nostra Costituzione. Bisogna rendersi conto del valore
politico e sociale di questo articolo. Seminarium rei pubblicae, dicevano i
latini del matrimonio. Noi potremmo dirlo della scuola:
seminarium rei pubblicae: la scuola elabora i migliori per la rinnovazione
continua, quotidiana della classe dirigente. Ora, se questa è la funzione
costituzionale della scuola nella nostra Repubblica, domandiamoci: com'è
costruito questo strumento? Quali sono i suoi principi fondamentali? Prima di
tutto, scuola di Stato. Lo Stato deve costituire le sue scuole. Prima di tutto
la scuola pubblica. Prima di esaltare la scuola privata bisogna parlare della
scuola pubblica. La scuola pubblica è il prius, quella privata è il posterius.
Per aversi una scuola privata buona bisogna che quella dello Stato sia ottima
(applausi). Vedete, noi dobbiamo prima di tutto
mettere l'accento su quel comma dell'art. 33 della Costituzione che dice così:
"La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole
statali per tutti gli ordini e gradi". Dunque, per questo comma [...] lo Stato
ha in materia scolastica, prima di tutto una funzione normativa. Lo Stato deve
porre la legislazione scolastica nei suoi principi generali. Poi,
immediatamente, lo Stato ha una funzione di realizzazione [...].
Lo Stato non deve dire: io faccio una scuola come modello, poi il
resto lo facciano gli altri. No, la scuola è aperta a tutti e se tutti vogliono
frequentare la scuola di Stato, ci devono essere in tutti gli ordini di scuole,
tante scuole ottime, corrispondenti ai principi posti dallo Stato, scuole
pubbliche, che permettano di raccogliere tutti coloro che si rivolgono allo
Stato per andare nelle sue scuole. La scuola è aperta a tutti. Lo Stato
deve
quindi costituire scuole ottime per ospitare tutti. Questo è scritto
nell'art. 33 della Costituzione. La scuola di Stato, la scuola democratica, è
una scuola che ha un carattere unitario, è la scuola di tutti, crea cittadini,
non crea né cattolici, né protestanti, né marxisti. La scuola è l'espressione di
un altro articolo della Costituzione: dell'art. 3: "Tutti i cittadini hanno
parità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di
razza, di lingua, di religione, di opinione politica, di condizioni personali e
sociali". E l'art. 151: "Tutti i cittadini possono accedere agli uffici pubblici
e alle cariche elettive in
condizioni di eguaglianza, secondo i requisiti stabiliti dalla legge". Di
questi due articoli deve essere strumento la scuola di Stato, strumento di
questa eguaglianza civica, di questo rispetto per le libertà di tutte le fedi e
di tutte le opinioni [...].
Quando la scuola pubblica è così forte e sicura, allora, ma allora
soltanto, la scuola privata non è pericolosa. Allora, ma allora soltanto, la
scuola privata può essere un bene. Può essere un bene che forze private,
iniziative pedagogiche di classi, di gruppi religiosi, di gruppi politici, di
filosofie, di correnti culturali, cooperino con lo Stato ad allargare, a
stimolare, e a rinnovare con varietà di tentativi la cultura. Al diritto della
famiglia, che è consacrato in un altro articolo della Costituzione,
nell'articolo 30, di istruire e di educare i figli, corrisponde questa
opportunità che deve essere data alle famiglie di far frequentare ai loro
figlioli scuole di loro gradimento e quindi di permettere la istituzione
di scuole che meglio corrispondano con certe garanzie che ora vedremo alle
preferenze politiche, religiose, culturali di quella famiglia. Ma rendiamoci ben
conto che mentre la scuola pubblica è espressione di unità, di coesione, di
uguaglianza civica, la scuola privata è espressione di varietà, che può voler
dire eterogeneità di correnti decentratrici, che lo Stato deve impedire che
divengano correnti disgregatrici. La scuola privata, in altre parole, non è
creata per questo.
La scuola della Repubblica, la scuola dello Stato, non è la scuola di
una filosofia, di una religione, di un partito, di una setta. Quindi,
perché le scuole private sorgendo possano essere un bene e non un pericolo,
occorre: (1) che lo Stato le sorvegli e le controlli e che sia neutrale,
imparziale tra esse. Che non favorisca un gruppo di scuole private a danno di
altre. (2) Che le scuole private corrispondano a certi requisiti
minimi di serietà di organizzazione. Solamente in questo modo e in altri più
precisi, che tra poco dirò, si può avere il vantaggio della coesistenza della
scuola pubblica con la scuola privata. La gara cioè tra le scuole statali e le
private. Che si stabilisca una gara tra le scuole pubbliche e le scuole private,
in modo che lo Stato da queste scuole private che sorgono, e che eventualmente
possono portare idee e realizzazioni che finora nelle scuole pubbliche non
c'erano, si senta stimolato a far meglio, a rendere, se mi sia permessa
l'espressione, "più ottime" le proprie scuole. Stimolo dunque deve essere la
scuola privata allo Stato, non motivo di abdicazione.
Ci siano pure scuole di partito o scuole di chiesa. Ma lo Stato le deve
sorvegliare, le deve regolare; le deve tenere nei loro limiti e deve riuscire a
far meglio di loro. La scuola di Stato, insomma, deve essere una garanzia,
perché non si scivoli in quello che sarebbe la fine della scuola e forse la fine
della democrazia e della libertà, cioè nella scuola di partito. Come si fa a
istituire in un paese la scuola di partito? Si può fare in due modi. Uno è
quello del totalitarismo aperto, confessato. Lo abbiamo esperimentato, ahimè.
Credo che tutti qui ve ne ricordiate, quantunque
molta gente non se ne ricordi più. Lo abbiamo sperimentato sotto il fascismo.
Tutte le scuole diventano scuole di Stato: la scuola privata non è più permessa,
ma lo Stato diventa un partito e quindi tutte le scuole sono scuole
di Stato, ma per questo sono anche scuole di partito. Ma c'è un'altra forma per
arrivare a trasformare la scuola di Stato in scuola di partito o di setta. Il
totalitarismo subdolo, indiretto, torpido, come certe polmoniti torpide che
vengono senza febbre, ma che sono pericolosissime. Facciamo l'ipotesi, così astrattamente,
che ci sia un partito al potere, un partito dominante, il quale però formalmente
vuole rispettare la Costituzione, non la vuole violare in sostanza. Non vuol
fare la marcia su Roma e trasformare l'aula in alloggiamento per i manipoli; ma
vuol istituire, senza parere, una larvata dittatura. Allora, che cosa fare per
impadronirsi delle scuole e per trasformare le scuole di Stato in scuole di
partito? Si accorge che le scuole di Stato hanno il difetto di essere
imparziali. C'è una certa resistenza; in quelle scuole c'è sempre, perfino sotto
il fascismo c'è stata. Allora, il partito dominante segue un'altra strada (è
tutta un'ipotesi teorica, intendiamoci).
Comincia a trascurare le scuole pubbliche, a screditarle, ad impoverirle.
Lascia che si anemizzino e comincia a favorire le scuole private. Non tutte le
scuole private. Le scuole del suo partito, di quel partito. Ed allora tutte le
cure cominciano ad andare a queste scuole private. Cure di denaro e di
privilegi. Si comincia persino a consigliare i ragazzi ad andare a queste
scuole, perché in fondo sono migliori si dice di quelle di Stato. E magari si
danno dei premi, come ora vi dirò, o si propone di dare dei premi a quei
cittadini che saranno disposti a mandare i loro figlioli invece che alle scuole
pubbliche alle scuole private. A "quelle" scuole private. Gli esami sono più
facili, si studia meno e si riesce meglio. Così la scuola privata diventa una
scuola privilegiata. Il partito dominante, non potendo trasformare apertamente
le scuole di Stato in scuole di partito, manda in malora le scuole di Stato per
dare la prevalenza alle sue scuole private.
Attenzione, amici, in questo convegno questo è il punto che bisogna
discutere. Attenzione, questa è la ricetta. Bisogna tener d'occhio i cuochi di
questa bassa cucina. L'operazione si fa in tre modi: (1) ve l'ho già detto:
rovinare le scuole di Stato. Lasciare che vadano in malora. Impoverire i loro
bilanci. Ignorare i loro bisogni. (2) Attenuare la sorveglianza e il controllo
sulle scuole private. Non controllarne la serietà. Lasciare che vi
insegnino
insegnanti che non hanno i titoli minimi per insegnare. Lasciare che gli
esami siano burlette. (3) Dare alle scuole private denaro pubblico. Questo è il
punto. Dare alle scuole private denaro pubblico! Quest'ultimo è il metodo più
pericoloso. È la fase più pericolosa di tutta l'operazione [...]. Questo dunque
è il punto, è il punto più pericoloso del metodo. Denaro di tutti i cittadini,
di tutti i contribuenti, di tutti i credenti nelle diverse religioni, di tutti
gli appartenenti ai diversi partiti, che invece viene destinato ad alimentare le
scuole di una sola religione, di una sola setta, di un solo partito
[...].
Per prevedere questo pericolo, non ci voleva molta furberia. Durante la
Costituente, a prevenirlo nell'art. 33 della Costituzione fu messa questa
disposizione: "Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituti di
educazione senza onere per lo Stato". Come sapete questa formula nacque da un
compromesso; e come tutte le formule nate da compromessi, offre il destro, oggi,
ad interpretazioni sofistiche [...]. Ma poi c'è un'altra questione che è venuta
fuori, che dovrebbe permettere di raggirare la legge. Si tratta di ciò che noi
giuristi chiamiamo la "frode alla legge", che è quel quid che i
clienti chiedono ai causidici di pochi scrupoli, ai quali il cliente si rivolge
per sapere come può violare la legge figurando di osservarla [...]. E venuta
così fuori l'idea dell'assegno familiare, dell'assegno familiare
scolastico.
Il ministro dell'Istruzione al Congresso Internazionale degli Istituti
Familiari, disse: la scuola privata deve servire a "stimolare" al massimo le
spese non statali per l'insegnamento, ma non bisogna escludere che anche lo
Stato dia sussidi alle scuole private. Però aggiunse: pensate, se un padre vuol
mandare il suo figliolo alla scuola privata, bisogna che paghi tasse. E questo
padre è un cittadino che ha già pagato come contribuente la sua tassa per
partecipare alla spesa che lo Stato eroga per le scuole pubbliche. Dunque questo
povero padre deve pagare due volte la tassa. Allora a questo benemerito
cittadino che vuole mandare il figlio alla scuola privata, per sollevarlo da
questo doppio onere, si dà un assegno familiare. Chi vuol mandare un suo figlio
alla scuola privata, si rivolge quindi allo Stato ed ha un
sussidio, un assegno [...].
Il mandare il proprio figlio alla scuola privata è un diritto, lo dice
la Costituzione, ma è un diritto il farselo pagare? È un diritto che uno, se
vuole, lo esercita, ma a proprie spese. Il cittadino che vuole mandare il figlio
alla scuola privata, se la paghi, se no lo mandi alla scuola pubblica. Per
portare un paragone, nel campo della giustizia si potrebbe fare un discorso
simile. Voi sapete come per ottenere giustizia ci sono i giudici pubblici;
peraltro i cittadini, hanno diritto di fare decidere le loro controversie anche
dagli arbitri. Ma l'arbitrato costa caro, spesso costa centinaia di migliaia di
lire. Eppure non è mai venuto in mente a un cittadino, che preferisca ai giudici
pubblici l'arbitrato, di rivolgersi allo Stato per chiedergli un sussidio allo
scopo di pagarsi gli arbitri! [...]. Dunque questo giuoco degli assegni
familiari sarebbe, se fosse adottato, una specie di incitamento pagato a
disertare le scuole dello Stato e quindi un modo indiretto di
favorire certe scuole, un premio per chi manda i figli in certe scuole private
dove si fabbricano non i cittadini e neanche i credenti in una certa religione,
che può essere cosa rispettabile, ma si fabbricano gli elettori di un certo
partito [...].
Poi, nella riforma, c'è la questione della parità. L'art. 33 della
Costituzione nel comma che si riferisce alla parità, dice: "La legge, nel
fissare diritti ed obblighi della scuola non statale, che chiede la parità, deve
assicurare ad essa piena libertà, un trattamento equipollente a quello delle scuole
statali" [...]. Parità, sì, ma bisogna ricordarsi che prima di tutto, prima di
concedere la parità, lo Stato, lo dice lo stesso art. 33, deve fissare i diritti
e gli obblighi della scuola a cui concede questa parità, e ricordare che per un
altro comma dello stesso articolo, lo Stato ha il compito di dettare le norme
generali sulla istruzione. Quindi questa parità non può
significare rinuncia a garantire, a controllare la serietà degli studi, i
programmi, i titoli degli insegnanti, la serietà delle prove.
Bisogna insomma evitare questo nauseante sistema, questo ripugnante sistema che
è il favorire nelle scuole la concorrenza al ribasso: che lo Stato favorisca non
solo la concorrenza della scuola privata con la scuola pubblica ma che lo Stato
favorisca questa concorrenza favorendo la scuola dove si insegna peggio, con un
vero e proprio incoraggiamento ufficiale alla bestialità
[...].
Però questa riforma mi dà l'impressione di quelle figure che erano di
moda quando ero ragazzo. In quelle figure si vedevano foreste, alberi, stagni,
monti, tutto un groviglio di tralci e di uccelli e di tante altre belle cose e
poi sotto c'era scritto: trovate il cacciatore. Allora, a furia di cercare, in
un angolino, si trovava il cacciatore con il fucile spianato. Anche nella
riforma c'è il cacciatore con il fucile spianato. la scuola privata che si vuole
trasformare in scuola privilegiata. Questo è il punto che conta. Tutto il resto,
cifre astronomiche di miliardi, avverrà nell'avvenire lontano, ma la scuola
privata, se non state attenti, sarà realtà davvero domani. La scuola privata si
trasforma in scuola privilegiata e da qui comincia la scuola totalitaria,
la trasformazione da scuola democratica in scuola di partito.
E poi c'è un altro pericolo forse anche più grave. È il pericolo del
disfacimento morale della scuola. Questo senso di sfiducia, di cinismo, più che
di scetticismo che si va diffondendo nella scuola, specialmente tra i giovani, è
molto significativo. È il tramonto di quelle idee della vecchia scuola di
Gaetano Salvemini, di Augusto Monti: la serietà, la precisione, l'onestà, la
puntualità. Queste idee semplici. Il fare il proprio dovere, il fare lezione. E
che la scuola sia una scuola del carattere, formatrice di coscienze, formatrice
di persone oneste e leali. Si va diffondendo l'idea che tutto questo è superato,
che non vale più. Oggi valgono appoggi, raccomandazioni, tessere di un partito o
di una parrocchia. La religione che è in sé una cosa seria, forse la cosa più
seria, perché la cosa più seria della vita è la morte, diventa uno spregevole
pretesto per fare i propri affari. Questo è il pericolo: disfacimento morale
della scuola. Non è la scuola dei preti che ci spaventa, perché cento anni fa
c'erano scuole di preti in cui si sapeva insegnare il latino e l'italiano e da
cui uscirono uomini come Giosuè Carducci. Quello che soprattutto spaventa sono i
disonesti, gli uomini senza carattere, senza fede, senza opinioni. Questi uomini
che dieci anni fa erano fascisti, cinque anni fa erano a parole antifascisti, ed
ora son tornati, sotto svariati nomi, fascisti nella sostanza cioè profittatori
del regime.
E c'è un altro pericolo: di lasciarsi vincere dallo scoramento.
Ma non bisogna lasciarsi vincere dallo scoramento. Vedete, fu detto giustamente
che chi vinse la guerra del 1918 fu la scuola media italiana, perché quei
ragazzi, di cui le salme sono ancora sul Carso, uscivano dalle nostre scuole e
dai nostri licei e dalle nostre università. Però guardate anche durante la
Liberazione e la Resistenza che cosa è accaduto. È accaduto lo stesso. Ci sono
stati professori e maestri che hanno dato esempi mirabili, dal carcere al
martirio. Una maestra che per lunghi anni affrontò serenamente la galera
fascista è
qui tra noi. E tutti
noi, vecchi insegnanti abbiamo nel cuore
qualche nome di nostri studenti che hanno saputo resistere alle torture, che
hanno dato il sangue per la libertà d'Italia. Pensiamo a
questi ragazzi nostri che uscirono dalle nostre scuole e pensando a loro, non
disperiamo dell'avvenire. Siamo fedeli alla Resistenza.
Bisogna, amici, continuare a difendere nelle scuole la Resistenza e la
continuità della coscienza morale.
Profetico allora e di sconcertante attualità oggi.
Nella prospettiva di Calamandrei la scuola doveva essere assimilata ad un organo costituzionale. La scuola, dunque, sarebbe dovuta essere lo strumento privilegiato attraverso cui realizzare i principi sanciti nella costituzione repubblicana, un serbatoio di pensiero critico, un baluardo eretto a difesa della libertà così a caro prezzo conquistata.
Non è un caso, evidentemente, che sui giornali un giorno si e l'altro pure si leggano interventi che auspicano generiche riforme che, in pratica, si traducono poi in tagli indiscriminati alla scuola pubblica. Anche questo fa parte di un disegno politico ben preciso. Si getta discredito sulla scuola per colpirla ulteriormente. Si dice di voler premiare il merito e si costringono gli insegnanti a lavorare in condizioni disastrose per poter loro addebitare la responsabilità dei risultati disastrosi dei loro alunni.
Tanti anni fa, facevo la terza media, di fronte alla mia contrarietà circa l'ipotesi di innalzamento dell'obbligo scolastico, la professoressa mi ammonì in questo modo: "I potenti, caro Barmina, hanno tutto l'interesse a che tu non vada a scuola perché hanno compreso che il tuo sapere può mettere in pericolo i loro privilegi".